giovedì 6 dicembre 2007

Trattori, sognatori e affabulatori

C’è chi sogna e c’è chi fa.
Io, purtroppo, appartengo troppo spesso alla prima categoria; per questo motivo mi consolo con le storie di chi invece è balzato con forza nella seconda.
Come, ad esempio, la donna-trattore. Che non è un mostro da circo come la donna-cannone, bensì una tranquilla (e c’è da sottolinearlo… leggete e capirete perché!) olandesina che avrà poco più di trent’anni, e che nella vita ha scelto di girare il mondo. In trattore.

E ce ne vuole di pazienza, e di costanza: i suoi sogni viaggiano alla frustrante media di 5 km/h, con punte velocistiche di "ben" 20 km/h… Ma lei se ne frega, e giusto per sfregio ha deciso pure di andarci fino al Polo Sud, col suo trattore. Per sfregio o per sogno? O per pazzia? Io non lo so. Ma forse non lo sa nemmeno lei, che adduce motivazioni confuse, sognanti e infantili, e in fondo va bene così. Perché ha paura, come tutti noi, di fare invece che sognare, e allora ha scelto di affrontare la paure nell’unico modo possibile: mettendo la testa fuori dal guscio, facendo. Andando.
Dice che per esaudire un desiderio ci vuole tempo, e la scelta del lentissimo trattore vuole simboleggiare la pazienza, la costanza, l’impegno necessari a far dei sogni realtà.
Un applauso a lei.

Ma c’è anche chi fa mentre sogna, o sogna intanto che fa, che dir si voglia.
Oggi spunta (su Repubblica) la macchina solare. “Ma ancora ci state a prendere per il culo?”, mi viene da dire. Forse sì, ma stavolta almeno lo si fa con classe.
Pare che la Regione Piemonte abbia sborsato “circa” un milione di euro per un’auto elettrica alimentata con fonti di energia rinnovabile e sostenibile (sole e idrogeno in primis). Come? Non chiedetemelo, non lo dicono. Però dicono che dovrà raggiungere un costo chilometrico pari a un decimo di quello di un’auto a benzina, non avrà emissioni inquinanti e una volta “esaurita”… Pouf! Svanirà nel nulla, senza inquinare, senza ingombrare, senza lasciar tracce. Come? Non si sa, non lo dicono.
Ah, ma c’è dell’altro: dovrà poter trasportare anziani e disabili e accedere a spazi ristretti.
…Ma il caffè? Non lo fa? Chi lo sa. Dato che la costruiranno il Centro Ricerche Fiat e il Politecnico di Torino, magari una speranza c’è (per il caffé, s'intende).

Ma il sogno si infrange, almeno per me, alla lettura delle dichiarazioni dei principali attori del progetto… Anzi, del progetto sperimentale per la realizzazione di un concept di veicolo urbano ecosostenibile.
Estratto 1:
“…La Regione Piemonte e il sistema ricerca automotive piemontese confermano a livello europeo la propria leadership nella mobilità urbana sostenibile”
E come? Progettando? Allora sono leader anch’io, e anche in molti campi :-)

Estratto 2:
“Il progetto è importante come prima vera realizzazione degli investimenti sulla mobilità sostenibile”.
Che bello, le nostre tasse serviranno a farci avere (forse) un prototipo di auto non inquinante e non consumante! E a chi gioverà? Al futuro. Alla futura produzione di serie. Già. Nel duemila e... Neanche con l'immaginazione riesco ad arrivarci.
Che ci stiano velatamente prendendo per il culo?

Estratto 3:
"Il risultato sarà un vero e proprio laboratorio mobile, aperto a una vasta sperimentazione di sistemi dedicati al tema della mobilità urbana".

Insomma, c’è chi sogna, c'è chi fa, e chi prende per il culo.

(foto: thnx to asmundur)

mercoledì 3 ottobre 2007

Ma siamo proprio gli unici str... ani?

A volte basta cambiare prospettiva per vedere le cose in modo decisamente differente. Non è necessario uno shift di 270°; basta poco.

Per esempio basta andare oltre confine per rendersi conto di che popolo particolare (eufemismo) siamo.

Un mese fa circa, una domenica, ero a Lugano, Svizzera. Poco meno di 50 km da casa mia, mica l'altra parte del mondo. Eppure.
Eppure sembrava di essere capitati per magia in un romanzo di Dick (Blade Runner, tanto per capirci. Anzi no, ho un esempio migliore: Tommy Knockers di Stephen King, non allo stesso livello di Dick, d'accorso, ma mi ricordo un passaggio in cui c'era un distributore di Coca Cola assassino, geniale!).
Non dico che ho visto macchine volanti (e nemmeno navi da combattimento in fiamme)... ma macchine elettriche si.

E non erano su una brochure, e nemmeno immortalate in un cartellone pubblicitario: erano in strada. Circolanti. Anzi, a dire il vero erano pluggate alla colonnina di ricarica.
Già perché le colonnine a Lugano esistono, ce ne sono in gran numero, distribuite capillarmente, e chi ricarica la macchina o lo scooter ha il diritto di parcheggiare gratis per un massimo di 4h.
Fantascienza.



Comunque inutile deprimersi, si sa che la Svizzera è un mondo a parte, in tutti i sensi. Sarà un caso isolato, ho pensato, l'eccezione che conferma la regola.

E invece no.

Settimana scorsa ero a Parigi. E devo ammetterlo: le colonnine esistono anche qui, e anche ben segnalate; molti parcheggi a pagamento privati, anche in centro, avvisano della presenza di colonnine all'interno della loro struttura. Insomma, pare che chi si muove con una macchina elettrica possa sapere dove sbattere la testa (o la macchina, che dir si voglia).

Ma c'è di più: Parigi è invasa da delle strane biciclette, che nelle forme ricordano un po' un frullatore anni '60 (!), e proprio come i frullatori per usarle bisogna attaccarle alla presa elettrica (!!).
Ma non in casa, sarebbe troppo banale, bensì in strada, a delle apposite rastrelliere collegate a una colonnina centrale, tramite la quale si può pagare con una tessera magnetica e noleggiare così una bici elettrica (1 euro per 1 ora, mi pare).
I parigini ne vanno pazzi, a giudicare dal numero di bici che si vedono in giro. E le rastrelliere "elettriche" sono anche molto coreografiche, soprattutto la sera, quando punteggiano di verde e rosso la stupenda città francese.



Cosa ho pensato dopo tutto ciò? Beh, oltre a chiedermi se siamo gli unici str... ani, mi sono chiesta se un esperimento del genere potrebbe mai durare in Italia.
Probabilmente le bici sarebbero a) rubate, oppure b) rotte, oppure c) prese e lanciate giù dalla curva sud di S.Siro, o anche d) coperte di graffiti.
E per quanto riguarda le colonnine di ricarica, immagino che i parcheggi dedicati a chi deve pluggare il proprio mezzo sarebbero subito preda dell'automobilista furbetto, che non potendo occupare abusivamente i posti auto per disabili (perché già occupati, mica per qualche remora di coscienza!) vi si fionderebbe a missile.

Ma forse sono pessimista.

lunedì 24 settembre 2007

Capita che...

Capita. A volte capita.
Capita che i mass media ci raccontino che la guerra in Iraq sta andando bene: il dittatore è stato mandato a casa (e pure all'altro mondo, servizio completo!), il popolo liberato, la democrazia importata con successo. Gli yankee hanno fatto il loro dovere, insomma.

Poi però capita anche che sette soldati americani, quattro anni dopo l'inizio del conflitto in Iraq, si sentano in dovere di far sapere a tutto il mondo che la verità non è esattamente quella.
L'avrete sentita tutti la storia dell'editoriale firmato dai sette soldati in questione sul New York Times; era il 19 di agosto, radio, tv, internet e quotidiani si riempirono le rispettive bocche con questa storia (qua potete trovare l'editoriale).

E allora capita che per qualche giorno tutti ne parlano, perché fa notizia, fa audience, fa molto immagine, fa molto giornalismo. Fa vendere, insomma, e oltretutto permette a chi ne dà notizia di mettersi in luce, di dire la propria, di fare un po' di comizio.

Però capita anche che non tutti abbiano saputo come è andata a finire la storia. Già perché... nessuno ne ha parlato.

Due dei sette soldati autori dell'articolo sono morti in circostanze giudicate "strane" dalla madre di uno dei due. Che ora chiede di far luce sulla vicenda:

"I want to know all the details of how he died. I want to know the truth. I don't understand how so many people could die in that accident. How could it be so bad?"


Praticamente è capitato che una camionetta militare sia caduta da un cavalcavia, senza essere colpita da fuoco nemico, né tantomeno da fuoco amico. Nessun rappresentante dell'esercito ha fornito spiegazioni ufficiali riguardo alla dinamica dell'incidente.

Ed è anche capitato che un altro militare co-autore dell'editoriale sia stato raggiunto da un colpo di pistola alla testa nei giorni in cui tutti e sette stavano lavorando all'articolo. Nessun altro dettaglio fornito.

Insomma, capita. E non ponetevi domande.

lunedì 10 settembre 2007

Elogio del limbo

Sei anni fa due aerei centravano in pieno le Twin Towers, "qualcosa" sfondava una facciata del Pentagono, "qualcosa" faceva crollare l'edificio WTC 7, "qualcosa" faceva crollare su sé stesse le due Twin Towers e il volo United Airlines 93 "spariva" in Pennsylvania.

Non mi sentirei a posto con la mia coscienza a sostituire ai vari "qualcosa" le parole "aereo", "missile", "incendio", "cariche esplosive" e via dicendo; io ancora non so cos'è successo l'undici settembre di sei anni fa (e, scommetto, nemmeno voi). Posso solo descrivere gli effetti di quel "qualcosa" che è successo e, se ho tempo e voglia, indagare le possibili cause.

Di certo c'è che le vittime dell'undici settembre sono un numero imprecisato maggiore di 3.000 unità: sarebbe disdicevole, infatti, non includere nel computo tutte le persone morte dal 2001 a oggi a causa delle conseguenze indotte dal 9/11 (decidete voi se contare anche tutti i morti delle guerre in Afghanistan e in Iraq, nel caso procuratevi una buona calcolatrice).

Chiunque possieda una mente raziocinante e circa 90 minuti di tempo libero può fare il seguente test: guardare uno di questi documentari

Loose Change
Inganno globale

e poi vedere se insorge qualche ragionevole dubbio.

Che non vuol dire sposare le "teorie complottiste", ma rendersi conto che è impossibile credere in toto alla versione governativa, che presenta un numero tale di imprecisioni da convincere anche lo scettico più scemo. Vuol dire prendersi la responsabilità di stare nel limbo, di non scegliere né si né no, né bianco né nero, né Islam né Democrazia. In attesa di tempi migliori.

P.S: nel frattempo, con tempismo esemplare, Osama Bin Laden si è rifatto sentire. Qui c'è un'interessante teoria riguardante i mutamenti facciali del prode Osama. Ora io mi chiedo due cose:
1) Ma se la cosiddetta "strategia del terrore" è da sempre quella del contropiede, della sorpresa, dell'assenza di certezze, come è possibile che Bin Laden non abbia pensato niente di meglio che sparare nell'etere un paio di video proprio quando tutti si aspettavano che lo facesse?
2) una volta, quando Osama era in stato di grazia, i video li spediva ad Al Jazeera, o alla peggio faceva da sé e li postava su qualche sito internet di origine sospetta. Ora nemmeno riesce a farla in barba alla CIA, che gli rovina la sorpresa con giorni e giorni di anticipo annunciando di essere in possesso di un qualche suo video. Strano, no?
(foto: thnx to fastfocus)

venerdì 7 settembre 2007

Il bello della conversazione

Leggo sul blog di Francesco la sua lettera aperta sulla conversazione.

Leggo e rifletto. Ci penso e ci ripenso, e già questo potrebbe considerarsi un benefico effetto da ascriversi alla conversazione.

Anyway, si dà il caso che ultimamente mi sia trovata coinvolta in una conversazione, nel mondo reale però, e tra i partecipanti figurava proprio l'autore del post sopracitato.
Argomento: l' "undicisettembre" (ormai tale data è uscita dalla storia e si è guadagnata lo status di entità a sé stante) e le teorie complottiste.

Si parla e si riparla, ci si perde nella conversazione toccandone più volte i confini che la separano dal monologo e dalla diatriba. Lambendoli solo, per fortuna.

Chiunque si aspetterebbe che ora la mia conversazione andasse ad analizzare i pareri dei partecipanti, le loro ragioni ed eventualmente le conclusioni cui la suddetta conversazione è approdata. Perché di solito in questo mondo si conversa per approdare a una conclusione, per far tacere l'altro, per far trionfare la propria posizione. La conversazione deve morire, deve dissolversi in una conclusione.

E invece, a mio parere, no. A mio parer il valore della conversazione non è nella sua conclusione, ma nel suo essere, che è proprio quello di causare confronto, riflessione, scambio culturale. Far girare informazione.

Che si manifesti sotto forma di simposio tra amici, o solitario post su un blog personale, o ancora tête-à-tête televisivo tra due sostenitori di diverse cause, o, last but not least, sotto forma di articolo di giornale (che quando è buono, a mio parere, altro non è che lettera aperta che ha lo scopo di far pensare, di causare a sua volta conversazione), sempre conversazione è. Conversazione 2.0, forse, ma tant'è.

venerdì 31 agosto 2007

Le cose che non dici

Durante le ferie una serie di circostanze mi ha portato a guardare con una certa frequenza i telegiornali nazionali. Me li sono "sorbiti" tutti, senza opporre resistenza: all'inizio è stato quasi rilassante, tanto era il tempo che non mi sedevo sulla poltrona per trenta minuti di fila... Ma appena ho riacquistato coscienza sono passata dalla rabbia allo sconforto, per finire con una buona dose di disgusto.
Qui trovate un articoletto da me scritto su questo tema, anche se si interrompe proprio dove sarebbe il caso di iniziare a tirare le conclusioni, a mio parere ovvie per chiunque possieda un minimo di raziocinio.
Ovvero che, come diceva il buon Vasco, "sono le cose che non dici/che mi fanno più male ... perché se non me le dici/non ti fidi più di me".
(Delle conclusioni ne parliamo poi, dopo che vi sarete letti l'articoletto...)
(foto: thnx to dhammza)

lunedì 27 agosto 2007

La soluzione al problema

Ipotesi: il surriscaldamento globale galoppa, il petrolio sta finendo, l'inquinamento ci sta uccidendo.

Tesi: cambiare fonti di energia, sostituire il petrolio, cercare di limitare la crescita della temperatura del mondo.
(Si legga: salvare il mondo e noi stessi).

Svolgimento: ecco, qua cominciano i dolori.
Vediamo cosa stanno facendo i "Big" del Mondo per far fronte alla tragica situazione.

1) Protocollo di Kyoto: buono, buonissimo. Anzi, buonino, perché l'inquinamento mondiale ha raggiunto un livello talmente tragico che ormai il protocollo è quasi obsoleto. Peccato che i due paesi che consumano di più al mondo (guardate qui!), gli Stati Uniti (responsabili da soli di circa un terzo delle emissioni mondiali) e la Cina, non vogliono aderire al protocollo.
George W. Bush "la volpe" ha ritirato l'adesione americana, opera di Clinton, poiché rispettare i parametri stabiliti avrebbe danneggiato troppo il sistema economico e industriale statunitense.
(Però in seguito si è occupato dell'ambiente. Sì sì. Ha raso al suolo un po' di foreste).
Magra consolazione, a Vienna stanno parlando or ora di come prepararsi al dopo-Kyoto. E ci ricordano che "Investire nella difesa del clima costa molto meno che non farlo" (qui, da Repubblica).



2) Petrolio: qua c'è da mettersi le mani nei capelli.
Mi limito a due cose: l'investimento nelle fonti rinnovabili è ancora troppo esiguo, laproduzione distribuita di energia con fonti rinnovabili più che un miraggio ormai può considerarsi quasi un'utopia; i prezzi delle automobili scendono sempre di più, gli ecoincentivi sono sempre più consistenti e il risultato è che tutti continuiamo imperterriti a comprare automobili alimentate a benzina/diesel, a consumare petrolio e inquinare l'ambiente.
Novità dell'ultimo minuto: i biocarburanti. Che fantastica trovata! Peccato che si tratti di un altro modo di tirarsi la zappa sui piedi, come spiegano bene oggi su Repubblica.

(foto: thnx to maxedaperture)

martedì 7 agosto 2007

The sound of silence

Milano d'estate mi stimola riflessioni.

In questi giorni è vuota, assolutamente vuota. Respira, si riposa, vive con calma. Si cura le ferite, si fa bella e migliore, si prepara per la nuova stagione, che ancora una volta inesorabilmente la logorerà, abbruttirà, distruggerà.

Lo Stato e i petrolieri sono di nuovo in "guerra". Guerra va tra virgolette perché lo Stato che dà del ladro ai benzinai è un po' come il bue che dice cornuto all'asino... (vi dice nulla la parola "accise"?).

Invece che accendere l'ennesima sterile diatriba, lo Stato potrebbe pensare, che so io, a rendere disponibili le energie alternative. Alternative sarebbe la parola corretta: peccato che io, al giorno d'oggi, non ho alternativa.



Se voglio spostarmi devo usare il petrolio. Ed emettere grandi quantità di CO2. E contribuire all'inquinamento, e alle malattie, e alle guerre, e allo sfruttamento del terzo mondo, e al traffico internazionale di droga, e all'armamento dei guerriglieri di ogni parte del mondo... eccetera eccetera.
Bel fardello. E tutto per un giretto in macchina...



Se mi alzo dal letto e decido che stamattina non voglio né finanziare la guerra in Libano (non importa se la prima o la seconda, le supportiamo tutte e due con ogni goccia di benzina, grazie alle accise) né tantomeno aumentare le possibilità che mio figlio nasca affetto da malattie respiratorie, che possibilità ho? Poche, quasi nessuna direi.

Vediamo. Benzina e diesel inquinano tanto, gpl e metano inquinano un po' di meno, i mezzi elettrici non inquinano direttamente ma indirettamente sì. Posso decidere di andare a piedi o in bicicletta, ma è una scelta che non sempre è possibile effettuare. E quindi torniamo al fatto che non ho alternative, e questo mi fa alquanto incazzare.



La rabbia è dovuta e giustificata, perché la Natura (o Dio, o Sai Baba, o chi volete voi...) ci ha fornito tutti i mezzi per essere autosufficienti e rispettosi del pianeta che ci offre ospitalità. Ci ha nobilitati, e noi continuiamo imperterriti a fare la figura dei cretini.
Perché cretini
lo siamo quando piangiamo un morto, avvelenato dall'aria che abbiamo contribuito a inquinare; quando ci rattristiamo per la guerra in Iraq, che abbiamo contribuito a finanziare; quando ci lamentiamo che la benzina costa troppo, eppure non rinunciamo a riempire tutti i serbatoi di cui disponiamo. E le tasche di chi ci prende in giro.

Tanto più cretini perché i mezzi ce li abbiamo. Il sole può essere sfruttato senza timore di abbreviare la sua vita, peraltro abbastanza lunghetta se paragonata alla media nazionale, roba da non preoccuparsi oggi, insomma, roba da dormire sonni tranquilli per miliardi di anni a venire.
Stesso discorso vale per il vento, che spira anche quando proprio non vorremmo. E noi lo ascoltiamo spirare, ci scriviamo delle bellissime poesie al riguardo, ci creiamo intorno business megagalattici che fanno bene solo a chi sta in cima alla catena (leggiasi Coppa America), eppure l'energia eolica stenta a entrare nell'uso, e nell'immaginario, comune.



Il sole e il vento sono fonti rinnovabili, ovvero se le uso oggi domani ci sono ancora. Anzi, se ne abuso oggi, domani ci sono ancora. E soprattutto sono gratuite. Il che vorrebbe dire niente più 71 $ al barile, niente più sconti al self-service domenica in autostrada, niente più raccolte a punti per automobilisti inconsapevoli e pure un po' fessi.
Ancora meglio, l'energia solare e quella eolica sono totalmente e assolutamente pulite. Non contribuiscono né al surriscaldamento globale né a intossicare i nostri organismi.

Nella vita si può scegliere di viaggiare col jet privato, spendendo migliaia di euro, o si può scegliere di comprare un volo low-cost a 29,90 euro; si può scegliere di lavarsi in un bagno d'oro o nella tinozza in giardino, di mangiare bistecca di balena importata illegalmente dal Giappone oppure le verdure coltivate nell'orto dietro casa.

Si può sempre scegliere, si deve essere messi nella condizioni di scegliere, altrimenti vuol dire che qualcosa di grosso non va.
Il sole è sopra la mia testa, eppure me ne posso valere in maniera molto limitata, per lo meno rispetto a quelle che sarebbero le sue potenzialità. Idem per il vento.
Non posso scegliere.