giovedì 10 gennaio 2008

Plastic Fantastic

Una notizia apparsa nei giorni scorsi sulla carta stampata mi ha colpito, anche se in molti non l'avranno nemmeno notata.
La Cina, paese dalle condizioni ambientali che tutti conosciamo, dal prossimo giugno non produrrà più sacchetti di plastica con spessore inferiore a 0,025 millimetri. Vale a dire quei "sacchettini" che ci rifilano un po' dovunque, soprattutto nei negozietti di paese, ma anche al supermercato per imbustare frutta e verdura. Avete presente cosa succede? Neanche il tempo di arrivare a casa che si aprono in due. E a quel punto, ovviamente, non possono essere utilizzati e finiscono nei nostri cassonetti. O, peggio ancora, in giro. Coi risultati che tutti conosciamo.

L'attuale produzione di buste di plastica costa alla Cina [b]5 milioni di tonnellate di greggio all'anno[/b]. Fate voi i conti. Insomma, visto il trend del petrolio, i cinesi hanno pensato di cominciare, anche se con un piccolissimo passo, ad affrancarsi gradualmente dalla dipendenza dall'oro nero.

E noi? Per quanto riguarda i sacchetti di plastica, dobbiamo ancora aspettare: saranno messi al bando dal 2010 (pare) e saranno sostituiti da "surrogati" di origine chimica o vegetale (pare). Già perché pensare di utilizzare le buste di stoffa o carta che già possediamo, ma anche zaini zainetti e borse, sembra troppo difficile per gli italiani. O forse troppo poco consumistico.

Per quanto riguarda la nostra dipendenza dal petrolio, ieri è stato reso noto il piano strategico dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas per il triennio 2007-2009. Potete leggerlo qui (e vi consiglio di farlo). Si parla di mercato, domanda/offerta, possibile scenari negativi (solo possibili?) causati da eventi climatici e ambientali ma anche dall'instabilità del prezzo del petrolio (che a me sembra invece in continua e stabilissima crescita). Si auspica che l'Europa possa unirsi in una grande sola voce, per farsi valere a livello internazionale e accaparrarsi la fetta della torta che gli spetta. Mica per rimboccarsi le maniche e pensare a come sostituire il petrolio, giammai!
Si parla anche di rigassificatori: ce ne vogliono tanti, di più, perché, e questo viene sottolineato, l'offerta di gas naturale è appena sufficiente a soddisfare la domanda.
Ovvero se ci chiudono i rubinetti, siamo nelle canne. Quindi prepariamoci a una gioisa dipendenza dal Putin di turno.

Come fronteggiare tutto questo? Liberalizzando il mercato e semplificando le procedure di import-export, secondo l'autorità.
E l'energia sostenibile e rinnovabile?
Manco l'ombra...
La Germania ha raggiunto quota 14 % di energia consumata prodotta da fonti rinnovabili. Noi, invece, cerchiamo la via più semplice e veloce per dipendere sempre e comunque dagli altri.
Vi ricordate la favola della cicala e la formica? Ecco, appunto.

Di rifiuti e petrolio se ne parla anche qui. In maniera molto intelligente.

lunedì 7 gennaio 2008

Opinioni free

Vivendo a Milano e usufruendo dei trasporti pubblici, inevitabilmente anch'io sono vittima del fenomeno free press. Ovvero i vari City, Metro, Leggo, quei (sedicenti) quotidiani che vengono distribuiti gratuitamente in giro per la città (e non solo a Milano, ovviamente).
Il mio rapporto con essi è stato graduale: scoperta, curiosità, approccio, noia, disgusto, abbandono.
Sostengo e sempre sosterrò, finché un'iniziativa valida non mi farà cambiare idea (non includo nella disamina il "Corriere della Sera - Anteprima", poiché a mio parere è troppo sui generis per essere considerato free-press "puro"), che i quotidiani free-press siano un potentissimo vettore di disinformazione. Trovo deprimente che la gente rinunci a comprare un quotidiano e si senta appagata con l'informazione fornita dai free-press. Ma del resto è in linea con quanto sta succedendo globalmente all'informazione in Italia: abituare la gente a navigare in superficie, convincendola che non c'è bisogno di entrare nel merito delle questioni. Tranquillizzare o allarmare, a seconda delle convenienze.
I free-press nostrani ti offrono l'illusione di essere informato, punto.

Ad ogni modo, ho trovato un articolo a tema su un noto sito di comunicazione. Ne riporto alcuni passaggi qui di seguito:

Questi quotidiani infatti, di certo meno obsoleti e più maneggevoli degli anziani quotidiani a pagamento, caratterizzati da notizie brevi ma accurate che prediligono la società alla politica rappresentano forse l’unico spiraglio di luce per il destino dei quotidiani nazionali


Ben venga l' "obsoleto" quotidiano. Tremo al solo pensiero che l'informazione sia soggetta alle stesse regole di altri beni di consumo: mi informo solo se è facile, economico, poco impegnativo. Se pesa poco e costa ancora meno. (Sull'accuratezza delle notizie dei giornali free-press è meglio sorvolare...)

Il secondo motivo è legato alla essenzialità delle notizie, formulate per essere consumate subito, in concomitanza con le esigenze di una società che viaggia a ritmi sempre più frettolosi, si può leggere infatti in metro, nel bus o per strada camminando.


Strano ma vero, io riesco a leggere persino l'obsoleto quotidiano, quando sono sul bus. E addirittura un libro. Non sarà questione di volontà più che di possibilità?

i giornali free press infatti individuano come obiettivo un target giovane e peprediligono argomenti di ogni genere , passando dalla cronaca all’attualità, dalla moda agli spettacoli e questa è di certo una caratteristica da non sottovalutare.


Invito chiunque a leggere una copia di un quotidiano free-press e, di seguito, una di Repubblica, o del Corriere, o di quello che preferite. E a sostenere la tesi che i quotidiani nazionali manchino di varietà. Certo, se con "varietà" si intende Birtney Spears che assume droghe per cavalli o Lindsay Lohan che amoreggia in quel di Capri, sinceramente non mi dispiace che i quotidiani nazionali pecchino di varietà (anche se spesso, purtoppo, non disdegnano di occuparsene).

La free press rappresenta quindi non solo una valida alternativa ai giornali a pagamento, ma sono concretamente ciò che la maggior parte dei lettori vorrebbero.


Felice di non far parte della maggioranza :-)

(photo: thnx to hokiecsgrad)

venerdì 4 gennaio 2008

Miracoli

Ieri il petrolio ha superato la quota psicologica dei 100 dollari al barile.
Ma il TG1 decantava trionfalmente i successi economici della Fiat, che ha messo a segno un + 9% e moneta rispetto al 2006, anche grazie al boom di immatricolazioni di dicembre 2007. Evviva! Gli italiani continuano a produrre e comprare auto. Ma che bella notizia... soprattutto per il livello globale di CO2.

Prima domanda: ma nessuno si chiede perché oggi le auto ce le tirano in testa? Perché ci quadruplicano e quintuplicano gli ecoincentivi statali? (Perché sono buoni? Naaaa...)

Oggi il TG1 si è finalmente accorto che il petrolio che vola verso i 150 dollari al barile (scommettiamo che ci mette poco?) potrebbe essere un problema più serio di quel che sembra. E allora, per correre ai ripari, ha pensato bene di informare gli italiani che la colpa è dei "disordini nel delta del Niger" e che il grande George W. Bush ha deciso che non cederà, e le riserve strategiche non le toccherà nemmeno adesso. Evvia! Grande esempio di rigore e libertà, prendiamo esempio. Poi, in un altro servizio, si è parlato dei "possibili futuri rincari" delle bollette e dei generi alimentari, e in un altro ancora del tonfo in borsa di Fiat e altre importanti case automobilistiche.

Seconda domanda: ma nessuno vede la correlazione tra queste notizie?

Io la vedo, eccome se la vedo. E' tanto semplice: essendo noi un'economia basata completamente sul petrolio, se questo sale quella scende. Punto. E se un pieno costa di più, tutto ciò che viaggia su gomma da una parte all'altre del paese costerà di più.
(Ma non ditelo in giro, e soprattutto non dite che il petrolio sta finendo: gli italiani potrebbero preoccuparsi... e consumare di meno. Giammai! L'economia deve girare...)

Ad ogni modo, il succitato TG1 si è inaspettatamente riscattato mostrando un servizo sull'auto ad aria compressa. Arriva dalla Francia, ha 200 km di autonomia, velocità massima 110 km/h. E, ovviamente, va ad aria. Sarà prodotta "entro un anno" e costerà (pare) 3500 euro.
Detta così, è praticamente un sogno, se non un miracolo.
Mi riprometto di approfondire l'argomento.

(foto: thnx to gunnivb)

giovedì 3 gennaio 2008

Natale in scatola

Confesso che il Natale mi è sempre piaciuto. Il lato emotivo e consumistico del Natale, sia ben chiaro; del resto sono figlia degli anni Ottanta, mi sento almeno in parte giustificata.
Scartare i pacchetti è quindi sempre stata una delle mie attività preferite del periodo natalizio, come anche, di conseguenza, trovare un posto nella mia cameretta per i regali ricevuti.

Quest'anno però è stato diverso. Sorvolando sul fatto che il lato consumistico del Natale non mi conquista più da tempo, semmai mi avvilisce, stamattina mi ero messa di buona lena a mettere in ordine i regali ricevuti. Ma invece che passare il tempo a trovare la collocazione appropriata per ogni oggetto, mi sono trovata invischiata per ben due ore tra carte, cartoni, sacchetti, scatole, buste, contenitori... Difficile mettere ordine, sono così tanti che non so dove stivarli. E, in confronto, i regali sono pochi.

Cerco sempre, per quanto è umanamente possibile, di essere moderata nelle opinioni; ma questa volta mi riesce difficile. Che ci sia un'emergenza ambientale da affrontare mi sembra cosa ormai ovvia e riconosciuta dai più; che ognuno di noi possa fare la propria parte nella difficile guerra all'inquinamento mi sembra altrettanto pacifico. Così come mi sembra pacifico che a dare il buon esempio dovrebbero essere in primis i più grandi, i più potenti, i più forti, i più capaci. E invece per ogni piccola “buona azione” che viene dal basso (ad esempio, prestare attenzione anche all'involucro quando si acquista un prodotto al supermercato), dall'alto arriva una valanga di fango (per non dire altro).

Ho passato mezza mattina a lottare con involucri di ogni tipo. E l'impressione netta e precisa che ne ho ricavato è quella di un'estrema povertà, al contrario di quanto appare; una società che ha le pezze al culo (perdonate l'espressione) e non vuole ammetterlo. Scatole grandi e ben decorate, sacchetti luccicanti, miriadi di cartellini, carte regalo spesse e plastificate; e l'oggetto passa in secondo piano, così noi non notiamo più quel “made in China” scritto sull'etichetta, o quella cucitura un po' imprecisa, o quella pelle che sa tanto di plastica. L'importante è apparire ricchi, bravi, generosi, felici. L'importante è l'involucro, la confezione, il nome scritto sulla scatola: al quale, beninteso, facciamo un bel favore scorrazzandolo qua e là gratuitamente (anzi, a dire il vero per farlo paghiamo pure...).

Non voglio passare per “fondamentalista”, non nego il piacere di fare e ricevere regali; ma mi sembra che si stia leggermente esagerando. Lo spreco è un insulto verso tutti, non solo verso chi “non può” (ma siamo proprio sicuri di non essere noi, oggi, quelli che “non possono”?). Oggi si spreca per trovare fiducia nei propri mezzi; lo spreco è il nuovo lusso: spreco quindi posso, spreco perché me lo posso permettere. Il consumismo è al suo stadio finale: non ci limitiamo a consumare indiscriminatamente, sprechiamo anche quantità vergognose di cibo, vestiti, materie prime, perché anche solo sapere di poterlo fare ci fa sentire benestanti. Perché stare attenti è faticoso, noioso, richiede pazienza e costanza, e i “benestanti” non hanno tempo per stare attenti, possono permettersi di dedicarsi ad altro. A consumare, per l'appunto.
Peccato che la terra un comportamento del genere non se lo può permettere, e la terra è casa nostra, ergo il nostro spreco esce dalla porta e rientra dritto dritto dalla finestra. Anche di chi attento lo é.

Mia nonna ha 87 anni. Sono sicura che dell'emergenza ambientale non ne sa più di tanto, e non la biasimo per questo. Ma ancora, imperterrita, attacca il domo-pak usato alle piastrelle della cucina, per riutilizzarlo in seguito; conserva i vassoi di cartone della pasticceria e pure la carta della confezione, così quando mi dà un pezzo di torta da portare a casa può impacchettarlo in maniera che sia comodo da trasportare; se un tovagliolo di carta non viene usato a tavola, lo piega e lo mette da parte per riutilizzarlo di nuovo. E beve acqua del rubinetto, rammenda i maglioni bucati, conserva i barattoli di vetro della marmellata, un domani potrebbero servire. E questa è solo la punta dell'iceberg di un modo di vivere in cui nulla è dato per scontato.

Napoli sta scomparendo sotto i rifiuti, notizia di oggi. E come diceva un giornalista del TG1, il punto non è tanto come smaltirli, bensì come non produrne così tanti. Sul totale dei rifiuti prodotti, gli imballaggi rappresentano il 40% del totale per quanto riguarda il peso e il 60 % per quanto riguarda il volume. “Bisogna tornare alla vendita di prodotti sciolti”, ma intanto i negozi continuano a vomitare involucri, sacchetti, scatole... apparenza preconfezionata. E noi ci sentiamo bene perché possiamo passeggiare con voluminosi sacchetti che “dicono” quanto possiamo, quanto siamo ricchi, quanto siamo bravi, e anche quanto abbiamo speso. Quanto siamo omologati.

E intanto io spacchetto l'ennesimo maglione: fasciato in una velina protettiva, abbellito da tre o quattro etichette informative, riposto in una scatola di cartone con coperchio in plastica, avvolto in carta regalo decorata con babbi natale e inserito in un gaio e colorato sacchetto rosso. La mia nonna avrebbe di che gioire... Noi possiamo solo riflettere sulla nostra deficienza. Perché il costo finale (ambientale ma anche sociale: tutti noi paghiamo in base al quantitativo di rifiuti che produciamo), interamente a nostro carico, sarà più caro di quel che sembra.