mercoledì 1 ottobre 2008

Rincaro dei generi alimentari? Vediamo che fare

I rincari che hanno subito nell’ultimo anno alcuni generi alimentari tra i più diffusi - pasta e pane in primis - sono sotto agli occhi di tutti. Non c’è nemmeno bisogno di leggere i quotidiani o guardare un telegiornale: basta recarsi nel primo negozio e guardare i prezzi della merce esposta, e poco importa che sia la bottega di paese o il mega ipermercato di periferia. Sulle cifre è guerra aperta, ma se volete farvi un’idea degli aumenti subiti dai generi alimentari nel 2008 vi consiglio una visita al sito di Federconsumatori (www.federconsumatori.it) - che dichiara per il pane aumenti compresi tra il 16 e il 30% in media. Questi aumenti sono dovuti in primo luogo all’impennata dei prezzi delle materie prime verificatasi nei primi mesi dell’anno, senza contare che anche il costo dei trasporti, a seguito del rincaro del barile di petrolio sui mercati, incide in misura maggiore.
Ma quali sono i motivi di questo aumento di prezzo del grano?

Del surriscaldamento globale conseguenza dell’inquinamento del pianeta, verrebbe da dire. Sbagliato. Se è vero che da un lato le mutate condizioni climatiche danneggiano e riducono i raccolti - "grazie" all’alterazione del ciclo delle stagioni e delle piogge e a eventi naturali imprevedibili e di violenza accresciuta rispetto al passato - è anche vero che in larga parte è la libera scelta dell’uomo a regolare la produttività di un terreno agricolo. In primo luogo, decidendo se coltivarlo o meno. Sembra un’ovvietà ma non lo è: la continua domanda di certi generi alimentari a livello mondiale, che cresce di pari passo con la crescita della popolazione (e quella pare proprio inarrestabile!), porta i distributori a chiedere sempre più ai produttori - che, vale la pena di ricordarlo, sono in gran parte i paesi del Sud del Mondo, la parte più povera del pianeta - i quali, messi alle strette dalla necessità di garantirsi il sostentamento, scelgono di sfruttare i terreni senza lasciargli il tempo di rigenerarsi e utilizzando indiscriminatamente fertilizzanti e pesticidi chimici, e condannandoli così all’improduttività nel medio periodo.
Ma il continuo aumento della domanda non deriva solo dalla crescita del numero dei consumatori di queste materie prime o dalla diminuzione dei terreni produttivi: si mettono in mezzo anche gli speculatori finanziari, che proprio come succede con le azioni delle società quotate in borsa, comprano enormi quantità di materie prime (anzi, ad essere precisi opzionano i raccolti futuri), "svuotando" il mercato e facendo di conseguenza lievitare la domanda. E il peggio è che spesso queste materie prime non finiscono nelle reti di vendita ma vengono messe da parte per essere rivendute a più caro prezzo quando ce ne sarà maggior bisogno.

Ecco perché la notizia della prossima nascita a Milano della Borsa Telematica Agroalimentare Mondiale, un progetto collegato all’Expo del 2015, può farci ben sperare. Sulla carta la nuova borsa merci dei prodotti alimentari dovrebbe infatti essere uno strumento utile per calmierare i prezzi, avvicinare domanda e offerta, garantire rapporti stabili tra produttori e venditori, consentendo inoltre ai primi di programmare la produzione in base alle opzioni comprate dai secondi, e ai secondi di poter assicurare una maggiore trasparenza sui prezzi al consumatore finale.
Si configura insomma come un canale diretto tra domanda e offerta, un modo per "accorciare la catena" ed eliminare i passaggi intermedi tra produttore e consumatore finale che, come sappiamo, sono la causa principale della crescita esponenziale del prezzo di una merce nel suo percorso dal campo allo scaffale del negozio.
Non da ultimo, dovrebbe offrire la possibilità ai piccoli produttori di ricavarsi un piccolo posto al sole nel mercato globale, grazie alla possibilità di contrattare alla pari con l’acquirente senza l’interposizione di un imprecisato numero di intermediari.
E la speculazione? Sarà un lontano ricordo, assicurano gli ideatori del progetto (tra cui Comune di Milano e Borsa Merci Telematica Italiana), poiché si tratterà di una borsa merci in cui verranno scambiati prodotti reali, non finanziari. Al centro ci sarà la merce, e produttore e acquirente tratteranno alla pari e in tempo reale il suo prezzo.

La nostra tavola è dunque in balìa del clima, delle grandi multinazionali e delle decisioni politiche? Non del tutto.
Ci sono dei piccoli accorgimenti che possiamo prendere sin da oggi per far fronte ai rincari dei generi alimentari e al contempo contribuire attivamente a portare il pianeta verso uno stile di vita più sostenibile, indirizzato verso i consumi consapevoli.
Innanzitutto, accorciamo la filiera, di modo che sia più corta possibile. Il pane aumenta? Bene, facciamolo in casa. Con acqua, lievito e farina, proprio come lo facevano le nostre nonne. Oltretutto siamo molto più facilitati di loro: oggi ci sono farine già pronte all’uso, provviste della giusta dose di lievito, per produrre pane di tutti i tipi e per tutti i gusti; e non dimentichiamoci della "macchina del pane", che certamente ha un costo, consuma energia per funzionare e ne ha consumata per essere prodotta, ma nel medio periodo è un’investimento che si ripaga facilmente, considerando i prezzi in continua crescita del pane, e inoltre consente di eliminare tutti i costi derivanti dalla filiera (trasporto, confezionamento, vendita ecc.), con beneficio per l’ambiente oltre che per le nostre tasche.
Volete sapere nel dettaglio quanto si risparmia rispetto al pane comprato in negozio? Se ne parla concisamente ma in maniera interessante a questo link, dove potete trovare le riflessioni di chi ha fatto "i conti della serva" . E a quest’altra pagina, conti alla mano, si dimostra che il risparmio per gli assidui mangiatori di pane può arrivare anche a cifre prossime ai 1000 euro annui...
Se non avete mai sentito parlare in vita vostra della "macchina del pane" e volete farvi un’idea in proposito, vi consiglio di leggere questo articolo, mentre qui si parla degli ingredienti principali.

Sempre in tema di filiera corta e consumi consapevoli, non si può che sostenere l’invito generalizzato a riscoprire i "vecchi" metodi per fare la spesa: mercati rionali, comunali, all’ingrosso, aziende agricole, fattorie, agricoltori che vendono al minuto... Una qualsiasi di queste forme è un passo avanti nell’ottica di eliminare i costi aggiuntivi dovuti a distribuzione, trasporto, confezionamento e via dicendo.
Comprando i generi alimentari sfusi, come si faceva una volta, c’è poi la non trascurabile possibilità di utilizzare contenitori che già abbiamo in casa (uno qualsiasi tipo Tupperware va bene) piuttosto che acquistare vaschette usa e getta e confezioni varie, quasi sempre di plastica, e servirsi di borse di tela per trasportare la spesa invece di quelle in vendita al supermercato, riducendo la nostra quota di rifiuti nel tempo stesso che si risparmia qualche soldo.
Per gli aficionados del supermercato c’è comunque la possibilità di servirsi dei distributori che stanno spuntando in numero sempre maggiore - siano essi di detersivo, pasta, legumi, cereali ecc. - eliminando una notevole quantità di plastica senza rinunciare alla comodità del self-service, e risparmiando pure qualche centesimo.
Per iniziare a introdursi in questo mondo, consiglio di partire dal sito di Campagnamica (www.campagnamica.it), dove potrete anche trovare l’elenco delle aziende agricole italiane che vendono direttamente al pubblico; in questo nostro articolo spieghiamo invece dove e come rifornirsi di prodotti alla spina.
Altre informazioni molto interessanti si evincono dalla lettura del blog della giornalista della BBC Chris Jeavans, che ha provato a vivere per un mese senza plastica: leggete voi stessi quante scoperte ha fatto in tema di spesa sostenibile... (http://www.bbc.co.uk/blogs/monthwithoutplastic/)

(pubblicato su Yes.life il 12/09/2008)

giovedì 10 gennaio 2008

Plastic Fantastic

Una notizia apparsa nei giorni scorsi sulla carta stampata mi ha colpito, anche se in molti non l'avranno nemmeno notata.
La Cina, paese dalle condizioni ambientali che tutti conosciamo, dal prossimo giugno non produrrà più sacchetti di plastica con spessore inferiore a 0,025 millimetri. Vale a dire quei "sacchettini" che ci rifilano un po' dovunque, soprattutto nei negozietti di paese, ma anche al supermercato per imbustare frutta e verdura. Avete presente cosa succede? Neanche il tempo di arrivare a casa che si aprono in due. E a quel punto, ovviamente, non possono essere utilizzati e finiscono nei nostri cassonetti. O, peggio ancora, in giro. Coi risultati che tutti conosciamo.

L'attuale produzione di buste di plastica costa alla Cina [b]5 milioni di tonnellate di greggio all'anno[/b]. Fate voi i conti. Insomma, visto il trend del petrolio, i cinesi hanno pensato di cominciare, anche se con un piccolissimo passo, ad affrancarsi gradualmente dalla dipendenza dall'oro nero.

E noi? Per quanto riguarda i sacchetti di plastica, dobbiamo ancora aspettare: saranno messi al bando dal 2010 (pare) e saranno sostituiti da "surrogati" di origine chimica o vegetale (pare). Già perché pensare di utilizzare le buste di stoffa o carta che già possediamo, ma anche zaini zainetti e borse, sembra troppo difficile per gli italiani. O forse troppo poco consumistico.

Per quanto riguarda la nostra dipendenza dal petrolio, ieri è stato reso noto il piano strategico dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas per il triennio 2007-2009. Potete leggerlo qui (e vi consiglio di farlo). Si parla di mercato, domanda/offerta, possibile scenari negativi (solo possibili?) causati da eventi climatici e ambientali ma anche dall'instabilità del prezzo del petrolio (che a me sembra invece in continua e stabilissima crescita). Si auspica che l'Europa possa unirsi in una grande sola voce, per farsi valere a livello internazionale e accaparrarsi la fetta della torta che gli spetta. Mica per rimboccarsi le maniche e pensare a come sostituire il petrolio, giammai!
Si parla anche di rigassificatori: ce ne vogliono tanti, di più, perché, e questo viene sottolineato, l'offerta di gas naturale è appena sufficiente a soddisfare la domanda.
Ovvero se ci chiudono i rubinetti, siamo nelle canne. Quindi prepariamoci a una gioisa dipendenza dal Putin di turno.

Come fronteggiare tutto questo? Liberalizzando il mercato e semplificando le procedure di import-export, secondo l'autorità.
E l'energia sostenibile e rinnovabile?
Manco l'ombra...
La Germania ha raggiunto quota 14 % di energia consumata prodotta da fonti rinnovabili. Noi, invece, cerchiamo la via più semplice e veloce per dipendere sempre e comunque dagli altri.
Vi ricordate la favola della cicala e la formica? Ecco, appunto.

Di rifiuti e petrolio se ne parla anche qui. In maniera molto intelligente.

lunedì 7 gennaio 2008

Opinioni free

Vivendo a Milano e usufruendo dei trasporti pubblici, inevitabilmente anch'io sono vittima del fenomeno free press. Ovvero i vari City, Metro, Leggo, quei (sedicenti) quotidiani che vengono distribuiti gratuitamente in giro per la città (e non solo a Milano, ovviamente).
Il mio rapporto con essi è stato graduale: scoperta, curiosità, approccio, noia, disgusto, abbandono.
Sostengo e sempre sosterrò, finché un'iniziativa valida non mi farà cambiare idea (non includo nella disamina il "Corriere della Sera - Anteprima", poiché a mio parere è troppo sui generis per essere considerato free-press "puro"), che i quotidiani free-press siano un potentissimo vettore di disinformazione. Trovo deprimente che la gente rinunci a comprare un quotidiano e si senta appagata con l'informazione fornita dai free-press. Ma del resto è in linea con quanto sta succedendo globalmente all'informazione in Italia: abituare la gente a navigare in superficie, convincendola che non c'è bisogno di entrare nel merito delle questioni. Tranquillizzare o allarmare, a seconda delle convenienze.
I free-press nostrani ti offrono l'illusione di essere informato, punto.

Ad ogni modo, ho trovato un articolo a tema su un noto sito di comunicazione. Ne riporto alcuni passaggi qui di seguito:

Questi quotidiani infatti, di certo meno obsoleti e più maneggevoli degli anziani quotidiani a pagamento, caratterizzati da notizie brevi ma accurate che prediligono la società alla politica rappresentano forse l’unico spiraglio di luce per il destino dei quotidiani nazionali


Ben venga l' "obsoleto" quotidiano. Tremo al solo pensiero che l'informazione sia soggetta alle stesse regole di altri beni di consumo: mi informo solo se è facile, economico, poco impegnativo. Se pesa poco e costa ancora meno. (Sull'accuratezza delle notizie dei giornali free-press è meglio sorvolare...)

Il secondo motivo è legato alla essenzialità delle notizie, formulate per essere consumate subito, in concomitanza con le esigenze di una società che viaggia a ritmi sempre più frettolosi, si può leggere infatti in metro, nel bus o per strada camminando.


Strano ma vero, io riesco a leggere persino l'obsoleto quotidiano, quando sono sul bus. E addirittura un libro. Non sarà questione di volontà più che di possibilità?

i giornali free press infatti individuano come obiettivo un target giovane e peprediligono argomenti di ogni genere , passando dalla cronaca all’attualità, dalla moda agli spettacoli e questa è di certo una caratteristica da non sottovalutare.


Invito chiunque a leggere una copia di un quotidiano free-press e, di seguito, una di Repubblica, o del Corriere, o di quello che preferite. E a sostenere la tesi che i quotidiani nazionali manchino di varietà. Certo, se con "varietà" si intende Birtney Spears che assume droghe per cavalli o Lindsay Lohan che amoreggia in quel di Capri, sinceramente non mi dispiace che i quotidiani nazionali pecchino di varietà (anche se spesso, purtoppo, non disdegnano di occuparsene).

La free press rappresenta quindi non solo una valida alternativa ai giornali a pagamento, ma sono concretamente ciò che la maggior parte dei lettori vorrebbero.


Felice di non far parte della maggioranza :-)

(photo: thnx to hokiecsgrad)

venerdì 4 gennaio 2008

Miracoli

Ieri il petrolio ha superato la quota psicologica dei 100 dollari al barile.
Ma il TG1 decantava trionfalmente i successi economici della Fiat, che ha messo a segno un + 9% e moneta rispetto al 2006, anche grazie al boom di immatricolazioni di dicembre 2007. Evviva! Gli italiani continuano a produrre e comprare auto. Ma che bella notizia... soprattutto per il livello globale di CO2.

Prima domanda: ma nessuno si chiede perché oggi le auto ce le tirano in testa? Perché ci quadruplicano e quintuplicano gli ecoincentivi statali? (Perché sono buoni? Naaaa...)

Oggi il TG1 si è finalmente accorto che il petrolio che vola verso i 150 dollari al barile (scommettiamo che ci mette poco?) potrebbe essere un problema più serio di quel che sembra. E allora, per correre ai ripari, ha pensato bene di informare gli italiani che la colpa è dei "disordini nel delta del Niger" e che il grande George W. Bush ha deciso che non cederà, e le riserve strategiche non le toccherà nemmeno adesso. Evvia! Grande esempio di rigore e libertà, prendiamo esempio. Poi, in un altro servizio, si è parlato dei "possibili futuri rincari" delle bollette e dei generi alimentari, e in un altro ancora del tonfo in borsa di Fiat e altre importanti case automobilistiche.

Seconda domanda: ma nessuno vede la correlazione tra queste notizie?

Io la vedo, eccome se la vedo. E' tanto semplice: essendo noi un'economia basata completamente sul petrolio, se questo sale quella scende. Punto. E se un pieno costa di più, tutto ciò che viaggia su gomma da una parte all'altre del paese costerà di più.
(Ma non ditelo in giro, e soprattutto non dite che il petrolio sta finendo: gli italiani potrebbero preoccuparsi... e consumare di meno. Giammai! L'economia deve girare...)

Ad ogni modo, il succitato TG1 si è inaspettatamente riscattato mostrando un servizo sull'auto ad aria compressa. Arriva dalla Francia, ha 200 km di autonomia, velocità massima 110 km/h. E, ovviamente, va ad aria. Sarà prodotta "entro un anno" e costerà (pare) 3500 euro.
Detta così, è praticamente un sogno, se non un miracolo.
Mi riprometto di approfondire l'argomento.

(foto: thnx to gunnivb)

giovedì 3 gennaio 2008

Natale in scatola

Confesso che il Natale mi è sempre piaciuto. Il lato emotivo e consumistico del Natale, sia ben chiaro; del resto sono figlia degli anni Ottanta, mi sento almeno in parte giustificata.
Scartare i pacchetti è quindi sempre stata una delle mie attività preferite del periodo natalizio, come anche, di conseguenza, trovare un posto nella mia cameretta per i regali ricevuti.

Quest'anno però è stato diverso. Sorvolando sul fatto che il lato consumistico del Natale non mi conquista più da tempo, semmai mi avvilisce, stamattina mi ero messa di buona lena a mettere in ordine i regali ricevuti. Ma invece che passare il tempo a trovare la collocazione appropriata per ogni oggetto, mi sono trovata invischiata per ben due ore tra carte, cartoni, sacchetti, scatole, buste, contenitori... Difficile mettere ordine, sono così tanti che non so dove stivarli. E, in confronto, i regali sono pochi.

Cerco sempre, per quanto è umanamente possibile, di essere moderata nelle opinioni; ma questa volta mi riesce difficile. Che ci sia un'emergenza ambientale da affrontare mi sembra cosa ormai ovvia e riconosciuta dai più; che ognuno di noi possa fare la propria parte nella difficile guerra all'inquinamento mi sembra altrettanto pacifico. Così come mi sembra pacifico che a dare il buon esempio dovrebbero essere in primis i più grandi, i più potenti, i più forti, i più capaci. E invece per ogni piccola “buona azione” che viene dal basso (ad esempio, prestare attenzione anche all'involucro quando si acquista un prodotto al supermercato), dall'alto arriva una valanga di fango (per non dire altro).

Ho passato mezza mattina a lottare con involucri di ogni tipo. E l'impressione netta e precisa che ne ho ricavato è quella di un'estrema povertà, al contrario di quanto appare; una società che ha le pezze al culo (perdonate l'espressione) e non vuole ammetterlo. Scatole grandi e ben decorate, sacchetti luccicanti, miriadi di cartellini, carte regalo spesse e plastificate; e l'oggetto passa in secondo piano, così noi non notiamo più quel “made in China” scritto sull'etichetta, o quella cucitura un po' imprecisa, o quella pelle che sa tanto di plastica. L'importante è apparire ricchi, bravi, generosi, felici. L'importante è l'involucro, la confezione, il nome scritto sulla scatola: al quale, beninteso, facciamo un bel favore scorrazzandolo qua e là gratuitamente (anzi, a dire il vero per farlo paghiamo pure...).

Non voglio passare per “fondamentalista”, non nego il piacere di fare e ricevere regali; ma mi sembra che si stia leggermente esagerando. Lo spreco è un insulto verso tutti, non solo verso chi “non può” (ma siamo proprio sicuri di non essere noi, oggi, quelli che “non possono”?). Oggi si spreca per trovare fiducia nei propri mezzi; lo spreco è il nuovo lusso: spreco quindi posso, spreco perché me lo posso permettere. Il consumismo è al suo stadio finale: non ci limitiamo a consumare indiscriminatamente, sprechiamo anche quantità vergognose di cibo, vestiti, materie prime, perché anche solo sapere di poterlo fare ci fa sentire benestanti. Perché stare attenti è faticoso, noioso, richiede pazienza e costanza, e i “benestanti” non hanno tempo per stare attenti, possono permettersi di dedicarsi ad altro. A consumare, per l'appunto.
Peccato che la terra un comportamento del genere non se lo può permettere, e la terra è casa nostra, ergo il nostro spreco esce dalla porta e rientra dritto dritto dalla finestra. Anche di chi attento lo é.

Mia nonna ha 87 anni. Sono sicura che dell'emergenza ambientale non ne sa più di tanto, e non la biasimo per questo. Ma ancora, imperterrita, attacca il domo-pak usato alle piastrelle della cucina, per riutilizzarlo in seguito; conserva i vassoi di cartone della pasticceria e pure la carta della confezione, così quando mi dà un pezzo di torta da portare a casa può impacchettarlo in maniera che sia comodo da trasportare; se un tovagliolo di carta non viene usato a tavola, lo piega e lo mette da parte per riutilizzarlo di nuovo. E beve acqua del rubinetto, rammenda i maglioni bucati, conserva i barattoli di vetro della marmellata, un domani potrebbero servire. E questa è solo la punta dell'iceberg di un modo di vivere in cui nulla è dato per scontato.

Napoli sta scomparendo sotto i rifiuti, notizia di oggi. E come diceva un giornalista del TG1, il punto non è tanto come smaltirli, bensì come non produrne così tanti. Sul totale dei rifiuti prodotti, gli imballaggi rappresentano il 40% del totale per quanto riguarda il peso e il 60 % per quanto riguarda il volume. “Bisogna tornare alla vendita di prodotti sciolti”, ma intanto i negozi continuano a vomitare involucri, sacchetti, scatole... apparenza preconfezionata. E noi ci sentiamo bene perché possiamo passeggiare con voluminosi sacchetti che “dicono” quanto possiamo, quanto siamo ricchi, quanto siamo bravi, e anche quanto abbiamo speso. Quanto siamo omologati.

E intanto io spacchetto l'ennesimo maglione: fasciato in una velina protettiva, abbellito da tre o quattro etichette informative, riposto in una scatola di cartone con coperchio in plastica, avvolto in carta regalo decorata con babbi natale e inserito in un gaio e colorato sacchetto rosso. La mia nonna avrebbe di che gioire... Noi possiamo solo riflettere sulla nostra deficienza. Perché il costo finale (ambientale ma anche sociale: tutti noi paghiamo in base al quantitativo di rifiuti che produciamo), interamente a nostro carico, sarà più caro di quel che sembra.

giovedì 6 dicembre 2007

Trattori, sognatori e affabulatori

C’è chi sogna e c’è chi fa.
Io, purtroppo, appartengo troppo spesso alla prima categoria; per questo motivo mi consolo con le storie di chi invece è balzato con forza nella seconda.
Come, ad esempio, la donna-trattore. Che non è un mostro da circo come la donna-cannone, bensì una tranquilla (e c’è da sottolinearlo… leggete e capirete perché!) olandesina che avrà poco più di trent’anni, e che nella vita ha scelto di girare il mondo. In trattore.

E ce ne vuole di pazienza, e di costanza: i suoi sogni viaggiano alla frustrante media di 5 km/h, con punte velocistiche di "ben" 20 km/h… Ma lei se ne frega, e giusto per sfregio ha deciso pure di andarci fino al Polo Sud, col suo trattore. Per sfregio o per sogno? O per pazzia? Io non lo so. Ma forse non lo sa nemmeno lei, che adduce motivazioni confuse, sognanti e infantili, e in fondo va bene così. Perché ha paura, come tutti noi, di fare invece che sognare, e allora ha scelto di affrontare la paure nell’unico modo possibile: mettendo la testa fuori dal guscio, facendo. Andando.
Dice che per esaudire un desiderio ci vuole tempo, e la scelta del lentissimo trattore vuole simboleggiare la pazienza, la costanza, l’impegno necessari a far dei sogni realtà.
Un applauso a lei.

Ma c’è anche chi fa mentre sogna, o sogna intanto che fa, che dir si voglia.
Oggi spunta (su Repubblica) la macchina solare. “Ma ancora ci state a prendere per il culo?”, mi viene da dire. Forse sì, ma stavolta almeno lo si fa con classe.
Pare che la Regione Piemonte abbia sborsato “circa” un milione di euro per un’auto elettrica alimentata con fonti di energia rinnovabile e sostenibile (sole e idrogeno in primis). Come? Non chiedetemelo, non lo dicono. Però dicono che dovrà raggiungere un costo chilometrico pari a un decimo di quello di un’auto a benzina, non avrà emissioni inquinanti e una volta “esaurita”… Pouf! Svanirà nel nulla, senza inquinare, senza ingombrare, senza lasciar tracce. Come? Non si sa, non lo dicono.
Ah, ma c’è dell’altro: dovrà poter trasportare anziani e disabili e accedere a spazi ristretti.
…Ma il caffè? Non lo fa? Chi lo sa. Dato che la costruiranno il Centro Ricerche Fiat e il Politecnico di Torino, magari una speranza c’è (per il caffé, s'intende).

Ma il sogno si infrange, almeno per me, alla lettura delle dichiarazioni dei principali attori del progetto… Anzi, del progetto sperimentale per la realizzazione di un concept di veicolo urbano ecosostenibile.
Estratto 1:
“…La Regione Piemonte e il sistema ricerca automotive piemontese confermano a livello europeo la propria leadership nella mobilità urbana sostenibile”
E come? Progettando? Allora sono leader anch’io, e anche in molti campi :-)

Estratto 2:
“Il progetto è importante come prima vera realizzazione degli investimenti sulla mobilità sostenibile”.
Che bello, le nostre tasse serviranno a farci avere (forse) un prototipo di auto non inquinante e non consumante! E a chi gioverà? Al futuro. Alla futura produzione di serie. Già. Nel duemila e... Neanche con l'immaginazione riesco ad arrivarci.
Che ci stiano velatamente prendendo per il culo?

Estratto 3:
"Il risultato sarà un vero e proprio laboratorio mobile, aperto a una vasta sperimentazione di sistemi dedicati al tema della mobilità urbana".

Insomma, c’è chi sogna, c'è chi fa, e chi prende per il culo.

(foto: thnx to asmundur)

mercoledì 3 ottobre 2007

Ma siamo proprio gli unici str... ani?

A volte basta cambiare prospettiva per vedere le cose in modo decisamente differente. Non è necessario uno shift di 270°; basta poco.

Per esempio basta andare oltre confine per rendersi conto di che popolo particolare (eufemismo) siamo.

Un mese fa circa, una domenica, ero a Lugano, Svizzera. Poco meno di 50 km da casa mia, mica l'altra parte del mondo. Eppure.
Eppure sembrava di essere capitati per magia in un romanzo di Dick (Blade Runner, tanto per capirci. Anzi no, ho un esempio migliore: Tommy Knockers di Stephen King, non allo stesso livello di Dick, d'accorso, ma mi ricordo un passaggio in cui c'era un distributore di Coca Cola assassino, geniale!).
Non dico che ho visto macchine volanti (e nemmeno navi da combattimento in fiamme)... ma macchine elettriche si.

E non erano su una brochure, e nemmeno immortalate in un cartellone pubblicitario: erano in strada. Circolanti. Anzi, a dire il vero erano pluggate alla colonnina di ricarica.
Già perché le colonnine a Lugano esistono, ce ne sono in gran numero, distribuite capillarmente, e chi ricarica la macchina o lo scooter ha il diritto di parcheggiare gratis per un massimo di 4h.
Fantascienza.



Comunque inutile deprimersi, si sa che la Svizzera è un mondo a parte, in tutti i sensi. Sarà un caso isolato, ho pensato, l'eccezione che conferma la regola.

E invece no.

Settimana scorsa ero a Parigi. E devo ammetterlo: le colonnine esistono anche qui, e anche ben segnalate; molti parcheggi a pagamento privati, anche in centro, avvisano della presenza di colonnine all'interno della loro struttura. Insomma, pare che chi si muove con una macchina elettrica possa sapere dove sbattere la testa (o la macchina, che dir si voglia).

Ma c'è di più: Parigi è invasa da delle strane biciclette, che nelle forme ricordano un po' un frullatore anni '60 (!), e proprio come i frullatori per usarle bisogna attaccarle alla presa elettrica (!!).
Ma non in casa, sarebbe troppo banale, bensì in strada, a delle apposite rastrelliere collegate a una colonnina centrale, tramite la quale si può pagare con una tessera magnetica e noleggiare così una bici elettrica (1 euro per 1 ora, mi pare).
I parigini ne vanno pazzi, a giudicare dal numero di bici che si vedono in giro. E le rastrelliere "elettriche" sono anche molto coreografiche, soprattutto la sera, quando punteggiano di verde e rosso la stupenda città francese.



Cosa ho pensato dopo tutto ciò? Beh, oltre a chiedermi se siamo gli unici str... ani, mi sono chiesta se un esperimento del genere potrebbe mai durare in Italia.
Probabilmente le bici sarebbero a) rubate, oppure b) rotte, oppure c) prese e lanciate giù dalla curva sud di S.Siro, o anche d) coperte di graffiti.
E per quanto riguarda le colonnine di ricarica, immagino che i parcheggi dedicati a chi deve pluggare il proprio mezzo sarebbero subito preda dell'automobilista furbetto, che non potendo occupare abusivamente i posti auto per disabili (perché già occupati, mica per qualche remora di coscienza!) vi si fionderebbe a missile.

Ma forse sono pessimista.