giovedì 3 gennaio 2008

Natale in scatola

Confesso che il Natale mi è sempre piaciuto. Il lato emotivo e consumistico del Natale, sia ben chiaro; del resto sono figlia degli anni Ottanta, mi sento almeno in parte giustificata.
Scartare i pacchetti è quindi sempre stata una delle mie attività preferite del periodo natalizio, come anche, di conseguenza, trovare un posto nella mia cameretta per i regali ricevuti.

Quest'anno però è stato diverso. Sorvolando sul fatto che il lato consumistico del Natale non mi conquista più da tempo, semmai mi avvilisce, stamattina mi ero messa di buona lena a mettere in ordine i regali ricevuti. Ma invece che passare il tempo a trovare la collocazione appropriata per ogni oggetto, mi sono trovata invischiata per ben due ore tra carte, cartoni, sacchetti, scatole, buste, contenitori... Difficile mettere ordine, sono così tanti che non so dove stivarli. E, in confronto, i regali sono pochi.

Cerco sempre, per quanto è umanamente possibile, di essere moderata nelle opinioni; ma questa volta mi riesce difficile. Che ci sia un'emergenza ambientale da affrontare mi sembra cosa ormai ovvia e riconosciuta dai più; che ognuno di noi possa fare la propria parte nella difficile guerra all'inquinamento mi sembra altrettanto pacifico. Così come mi sembra pacifico che a dare il buon esempio dovrebbero essere in primis i più grandi, i più potenti, i più forti, i più capaci. E invece per ogni piccola “buona azione” che viene dal basso (ad esempio, prestare attenzione anche all'involucro quando si acquista un prodotto al supermercato), dall'alto arriva una valanga di fango (per non dire altro).

Ho passato mezza mattina a lottare con involucri di ogni tipo. E l'impressione netta e precisa che ne ho ricavato è quella di un'estrema povertà, al contrario di quanto appare; una società che ha le pezze al culo (perdonate l'espressione) e non vuole ammetterlo. Scatole grandi e ben decorate, sacchetti luccicanti, miriadi di cartellini, carte regalo spesse e plastificate; e l'oggetto passa in secondo piano, così noi non notiamo più quel “made in China” scritto sull'etichetta, o quella cucitura un po' imprecisa, o quella pelle che sa tanto di plastica. L'importante è apparire ricchi, bravi, generosi, felici. L'importante è l'involucro, la confezione, il nome scritto sulla scatola: al quale, beninteso, facciamo un bel favore scorrazzandolo qua e là gratuitamente (anzi, a dire il vero per farlo paghiamo pure...).

Non voglio passare per “fondamentalista”, non nego il piacere di fare e ricevere regali; ma mi sembra che si stia leggermente esagerando. Lo spreco è un insulto verso tutti, non solo verso chi “non può” (ma siamo proprio sicuri di non essere noi, oggi, quelli che “non possono”?). Oggi si spreca per trovare fiducia nei propri mezzi; lo spreco è il nuovo lusso: spreco quindi posso, spreco perché me lo posso permettere. Il consumismo è al suo stadio finale: non ci limitiamo a consumare indiscriminatamente, sprechiamo anche quantità vergognose di cibo, vestiti, materie prime, perché anche solo sapere di poterlo fare ci fa sentire benestanti. Perché stare attenti è faticoso, noioso, richiede pazienza e costanza, e i “benestanti” non hanno tempo per stare attenti, possono permettersi di dedicarsi ad altro. A consumare, per l'appunto.
Peccato che la terra un comportamento del genere non se lo può permettere, e la terra è casa nostra, ergo il nostro spreco esce dalla porta e rientra dritto dritto dalla finestra. Anche di chi attento lo é.

Mia nonna ha 87 anni. Sono sicura che dell'emergenza ambientale non ne sa più di tanto, e non la biasimo per questo. Ma ancora, imperterrita, attacca il domo-pak usato alle piastrelle della cucina, per riutilizzarlo in seguito; conserva i vassoi di cartone della pasticceria e pure la carta della confezione, così quando mi dà un pezzo di torta da portare a casa può impacchettarlo in maniera che sia comodo da trasportare; se un tovagliolo di carta non viene usato a tavola, lo piega e lo mette da parte per riutilizzarlo di nuovo. E beve acqua del rubinetto, rammenda i maglioni bucati, conserva i barattoli di vetro della marmellata, un domani potrebbero servire. E questa è solo la punta dell'iceberg di un modo di vivere in cui nulla è dato per scontato.

Napoli sta scomparendo sotto i rifiuti, notizia di oggi. E come diceva un giornalista del TG1, il punto non è tanto come smaltirli, bensì come non produrne così tanti. Sul totale dei rifiuti prodotti, gli imballaggi rappresentano il 40% del totale per quanto riguarda il peso e il 60 % per quanto riguarda il volume. “Bisogna tornare alla vendita di prodotti sciolti”, ma intanto i negozi continuano a vomitare involucri, sacchetti, scatole... apparenza preconfezionata. E noi ci sentiamo bene perché possiamo passeggiare con voluminosi sacchetti che “dicono” quanto possiamo, quanto siamo ricchi, quanto siamo bravi, e anche quanto abbiamo speso. Quanto siamo omologati.

E intanto io spacchetto l'ennesimo maglione: fasciato in una velina protettiva, abbellito da tre o quattro etichette informative, riposto in una scatola di cartone con coperchio in plastica, avvolto in carta regalo decorata con babbi natale e inserito in un gaio e colorato sacchetto rosso. La mia nonna avrebbe di che gioire... Noi possiamo solo riflettere sulla nostra deficienza. Perché il costo finale (ambientale ma anche sociale: tutti noi paghiamo in base al quantitativo di rifiuti che produciamo), interamente a nostro carico, sarà più caro di quel che sembra.

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